dopo il corteo, prosegue la lotta

 

dopo il corteo, prosegue la lotta

[di seguito un breve report del corteo universitario del 17 marzo contro i tagli e le riforme della gelmini, contro gli aumenti delle tasse, contro la repressione del dissenso in università]

 

Dopo l’occupazione del CdA del 2
febbraio
, il corteo interno sotto la neve del 10 marzo, centinaia di
studentesse e gli studenti pavesi sono tornat* nelle strade.
Mercoledì 17 marzo un corteo ha circumnavigato la sede centrale
dell’ateneo per poi attraversare la città e dare vita a dei blocchi
stradali. Giungere al ritiro immediato degli aumenti delle tasse,
dare vita a servizi autogestiti: queste sono le priorità del
movimento in questa fase.

Il corteo è stato organizzato
dall’assemblea student* in crisi per dare voce al dissenso rispetto i
tagli e le riforme della Gelmini, che a livello dell’ateneo pavese si
stanno trasformando in aumenti delle tasse, tagli ai servizi, alla
didattica e alla ricerca
. Di fronte alla contrarietà di student*,
dottorand* e specializzand* ai tagli ai servizi e agli aumenti delle
tasse la governance dell’ateneo non ha trovato migliore soluzione che
la repressione: il potere baronale in crisi necessita dell’intervento
poliziesco dentro alle mura dell’università per contrastare chi
quotidianamente fa vivere l’università.

Il corteo, circondato da striscioni
riportanti le parole d’ordine del movimento, si è caratterizzato per
partecipazione e determinazione: non si è trattato di una
passeggiata ma di un processo di presa di coscienza. La manifa ha
effettuato fermate in luoghi specifici, dove si sono susseguiti
numerosi interventi dal carro di testa. Qui valga la pena ricordarne
solo alcune. Davanti al comune sono state indicate le inadempienze
dell’amministrazione comunale, sempre pronta a reprimere le forme di
libera socialità studentesca nelle piazze della città, ad
assecondare gli affittacamere e gli speculatori, a tagliare i servizi
necessari come quelli alla mobilità all’interno della città.


Davanti alla Fondazione Banca del Monte
è stato svelato l’intricato rapporto tra crisi, bailout bancari,
tagli all’istruzione, fondazioni private, condizionamento della
ricerca e ingresso dei privati nei CdA degli atenei. Davanti al
palazzo di giustizia sono stati ricordati i numerosi procedimenti
repressivi tuttora pendenti sulle teste di numeros* student* in tutta
Italia, Pavia inclusa, per le mobilitazioni dello scorso anno e di
quest’anno. In numerosi momenti è stata ribadita la volontà di
allestire all’interno dell’università spazi in cui fornire servizi
gratuiti autogestiti, come quello di copypoint.

La lotta continua, facoltà per
facoltà, con la costruzione di servizi autogestiti, di percorsi di
autoformazione
come quello che a breve partirà ad Economia, con la
consapevolezza che solo una lotta generalizzata, estesa a tutti gli
atenei potrà fermare il DDL Gelmini
che presto verrà messo in
discussione in parlamento. In tal senso, occorre costruire momenti di
confronto con le ricercatrici e i ricercatori che già in alcuni
atenei intendono astenersi dalle mansioni di didattica, per arrivare
al blocco totale del sistema di istruzione superiore, necessario
strumento per porre fine ai processi di privatizzazione del sapere.

 

 

Pubblicato in Lotta e progetti | Commenti disabilitati su dopo il corteo, prosegue la lotta

CORTEO 17 MARZO

 

mercoledì 17 marzo

h. 10 ingresso università centrale

CORTEO

contro i tagli e le riforme della gelmini

contro gli aumenti delle tasse

contro la repressione del dissenso in università

lunedì 15 marzo h. 12,30-13,30 BANCHETTI INFORMATIVI in nave e in cravino

lunedì 15 marzo h. 17,30 APERITIVO INFORMATIVO in cortile di scienze politiche

lunedì 15 marzo & martedì 16 marzo per tutto il giorno volantinaggi, speakeraggi, banchetti informativi e passaggi nelle aule in tutta l’università e nelle mense

STAY TUNED & PARTECIPA ALLA COSTRUZIONE DEL CORTEO

e dopo il corteo…

mercoledì 17 marzo h. 16 ASSEMBLEA in cortile petrarca (del rettorato)

STUDENT* IN CRISI

Pubblicato in Lotta e progetti | Commenti disabilitati su CORTEO 17 MARZO

corteo RINVIATO: 17 MARZO

 

Ieri a Pavia doveva svolgersi il corteo contro l’aumento delle tasse universitarie. Nonostante la fitta nevicata oltre 200 studenti hanno sfilato in un corteo interno all’università. La decisione presa in un’assemblea è stata quella di rilanciare un appuntamento mercoledì 17 marzo per un corteo, si spera, senza neve.

Di seguito il volantino distribuito da student* in crisi durante la determinata manifestazione:

LA LORO RIFORMA, LE LORO TASSE E LE NOSTRE PROPOSTE

Un po’ di storia…

L’università che oggi conosciamo e viviamo tutti i giorni è il frutto di una riforma partita vent’anni fa, che ha visto protagonisti ministri di tutti i partiti politici. Dalla riforma Ruberti alla riforma Gelmini esiste un filo che lega tutti i cambiamenti a cui è stato sottoposto il nostro sistema di istruzione. Questo filo ci conduce direttamente alla situazione nella quale il nostro ateneo è arrivato quest’anno. Lo scopo preciso della riforma permanente dell’università, in particolare del "processo di Bologna", è quello di legare le esigenze dell’università a quelle delle imprese. I passaggi sono stati diversi: l’introduzione di debiti e crediti per quantificare la conoscenza, il passaggio al 3+2 e, infine, l’entrata dei privati nei consigli di amministrazione. Oggi stiamo giungendo ad un traguardo fondamentale, per chi dieci anni fa, nell’incontro del "Bologna Process" tra i 29 ministri dell’istruzione, si era dato degli obiettivi comuni.

I tagli della Gelmini e le tasse del rettore

La riforma della Gelmini va inquadrata in questo percorso e non può essere scissa da esso. I tagli da lei imposti all’istruzione pubblica hanno colpito anche l’università di Pavia, che quest’anno si è trovata a dover gestire un buco di bilancio da nove milioni di euro. La decisione presa dal rettore è stata quella di recuperare dalle tasche degli studenti i soldi necessari a sanare l’università. In pieno periodo esami e con pochissimo preavviso è stato convocato un CdA per approvare sei milioni di tagli alla didattica integrativa ed un aumento delle tasse da tre milioni di euro. Con questa misura all’incirca l’80% degli studenti dal prossimo anno vedrà aumentata la retta da pagare per poter frequentare l’università, ricevendo in cambio meno servizi ed una didattica guidata dalle imprese, che faranno il loro ingresso nei consigli di amministrazione occupandone il 40%. Inoltre una tassa da 125 euro colpirà tutti gli studenti indipendentemente dal reddito. In cambio di questi soldi il nostro ateneo fornirà servizi che fino ad oggi erano gratuiti (wi-fi,accesso riviste scientifiche, apertura serale biblioteche).

L’occupazione del cda e le nostre proposte

Nella giornata in cui il rettore e la sua cricca avevano deciso di scaricare sugli studenti il risultato di decenni di riforme, volute da Confindustria, è stata organizzata una protesta. La sala dove doveva svolgersi il CdA è stata occupata e successivamente il rettore ha dato il permesso alla polizia di entrare in università, cosa che non succedeva da oltre vent’anni, per poter approvare gli aumenti delle tasse. Quella giornata è stata la palese dimostrazione che in questa università esiste un potere decadente, che deve difendersi dai suoi studenti attraverso la polizia. L’ipocrisia dimostrata dalle istituzioni accademiche, che fino all’anno scorso promettevano agli studenti che si sarebbero opposte con tutti i mezzi ai tagli della Gelmini, oggi viene a galla e ci dimostra che non abbiamo alleati seduti nelle stanze del rettorato.

In questo momento ci troviamo di fronte ad un bivio: scegliere di lottare e mobilitarci contro la privatizzazione dell’università oppure restare in silenzio, pagare ed imparare ad essere sfruttati già dentro all’università. La nostra proposta è quella di proseguire la lotta fino al ritiro totale degli aumenti delle tasse e, sul piano pratico, di aprire un copypoint all’interno dell’università: uno spazio autogestito dagli studenti, che fornisca materiale cartaceo e digitale a prezzo di costo. Iniziamo a creare spazi e momenti in cui dare risposte concrete alla mancanza di servizi, liberando la cultura dalle gabbie del profitto.

La lotta continua:

CORTEO mercoledì 17 marzo h.10 ingresso università centrale

ASSEMBLEA mercoledì 17 marzo h. 16 in cortile Petrarca (del rettorato)

Student* in crisi

Pubblicato in Lotta e progetti | Commenti disabilitati su corteo RINVIATO: 17 MARZO

CORTEO CORTEO CORTEO

 

i manifesti dall’assemblea STUDENT* IN CRISI

per la MANIFESTAZIONE del 10/3

[clicca per ingrandire]

manifesto di convocazione della manifestazione, STUDENT* IN CRISI

Pubblicato in Lotta e progetti | Commenti disabilitati su CORTEO CORTEO CORTEO

è uscito “echi dall’ateneo” n.3

 

è uscito "echi dall’ateneo" n.3

 

E’ uscito il n. 3 di "echi dall’ateneo. aperiodico di informazione e analisi sull’università e dintorni – esce quando serve", una pubblicazione gratuita a cura del Collettivo Universitario Autonomo

INDICE:

Seminari di autoformazione, sostitutivi dello stage, sul tema della trasformazione del lavoro

Il colpo di grazia e la resa dei conti. Alcune considerazioni sul disegno di legge e sull’imminente riforma dell’università

L’aumento delle tasse all’Università di Pavia. Come rettore, baroni e gendarmi scaricano sugli studenti crisi, tagli e riforme-pacco

Copyrata. Servizi per gli studenti autogestiti dagli studenti

 

***

Qui puoi scaricare la versione stampabile: echi3.pdf

Qui puoi trovare gli arretrati: echi1.pdf
echi2.pdf

Pubblicato in Lotta e progetti | Commenti disabilitati su è uscito “echi dall’ateneo” n.3

seminari di autoformazione

 

Seminari di autoformazione,
sostitutivi dello stage, sul tema della trasformazione del lavoro

 

Ad aprile di quest’anno comincerà la prima edizione
del corso seminariale sulla trasformazione del lavoro. Questo
progetto di autoformazione è nato all’interno del movimento
dell’onda pavese come risultato di una necessità di approfondimento
e di studio ma anche dalla volontà di rivendicare un ruolo attivo
degli studenti nel determinare il proprio percorso di studi. Questo
ciclo di seminari è riconosciuto dalla facoltà di economia come
attività sostitutiva dello stage per gli student* delle lauree
triennali: invece di lavorare gratis per un’azienda, si può fare
autoformazione e ricevere crediti.

Questo ciclo di seminari vuole analizzare
l’evoluzione delle forme produttive e l’impatto avuto dalle nuove
tecnologie (in particolare delle
Information
and Communication Technologies
) sulla
natura e sulle forme di organizzazione del lavoro vivo, e di
comprendere come queste trasformazioni abbiano inciso sulle forme di
tutela del lavoro e sui sistemi di
welfare
novecenteschi. Nello specifico, il corso consterà di quindici
seminari, con la partecipazione di diversi relatori. Segnaliamo in
particolare l’incontro con alcune realtà dell’autorganizzazione
sindacale, come l’agenzia Bios e la rete dei lavoratori della
conoscenza, che potranno forse risultare utili alla formulazione di
proposte su un progetto di
welfare
autonomo e su nuove forme d’intervento nella realtà del mondo del
lavoro.
Ci
saranno poi alcuni case study: sulla femminilizzazione del lavoro e
sulla segregazione verticale e orizzontale dell’occupazione femminile
nel campo della ricerca. Infine, un’attenzione particolare sarà
rivolta alle diverse metodologie d’indagine empirica sul lavoro,
nella prospettiva di fornire strumenti più rigorosi di analisi del
reale.

Uno dei motivi che hanno portato alla scelta di
queste tematiche è quello di ribaltare la direzione
dell’avvicinamento tra università e mondo lavoro: non le logiche
aziendali che entrano negli atenei, non la standardizzazione, la
misurazione dei saperi e la conseguente riduzione dello studente
ad un pacchetto di nozioni obsolescenti, bensì l’accademia che si
trasforma in luogo di sperimentazione, aprendosi al territorio, ai
soggetti che vi vivono e alle loro esperienze, consentendo l’unione
tra cultura e società e proponendosi come punto di riferimento per
un processo di ricomposizione sociale.

Il corso in definitiva vuole essere uno
strumento di crescita e di libera formazione per tutt* gli student* e
per tutt* i lavorat* che lo vogliano sfruttare: un luogo al servizio
della creazione di nuove forme di conflitto e per la costruzione di
alternative culturali e materiali.

Il 24 marzo ci sarà la presentazione
ufficiale presso la facoltà di Economia alla presenza della Prof.ssa
Rampazi.

 

 

Pubblicato in Lotta e progetti | Commenti disabilitati su seminari di autoformazione

il colpo di grazia e la resa dei conti

Il
colpo di grazia e la resa dei conti

Alcune considerazioni sul disegno di
legge e sull’imminente riforma dell’università

[NdE: L’articolo che segue è stato pubblicato sulla versione cartacea del n. 3 di "echi dall’ateneo" in formato ridotto per esigenze editoriali. Il secondo, terzo e quarto paragrafo appaiono unicamente in questa edizione online.]

Il colpo di grazia

Ci siamo. Con il progetto di riforma
targato Gelmini1,
ci troviamo di fronte al culmine del processo – graduale ma
costante – di demolizione dell’università pubblica in Italia.
Poco più che un anno fa, chiamavamo questo processo “riforma
permanente” 2,
per sottolineare come sia stato una costante di qualsiasi governo a
prescindere dal colore politico.

Oggi, però, assistiamo ad un vero e
proprio colpo di grazia: con le ferite dei tagli della l. 133/2008
ancora aperte, e dietro all’ostentazione dei feticci governativi
del merito, dell’efficienza e del privato, si nasconde la volontà
di dismissione totale del sistema pubblico di istruzione
universitaria. Inoltre, con l’obbligo per gli atenei di applicare
tutte le disposizioni della legge entro massimo nove mesi dalla sua
approvazione parlamentare, questa volontà politica si trasforma in
una privatizzazione di fatto a tappe forzate. Come se non bastasse,
da realizzare a costo zero, cioè senza nuovi o maggiori oneri per la
finanza pubblica. I costi – come dimostra la recente esperienza
dell’aumento delle tasse nell’Università di Pavia – si possono
scaricare tranquillamente sugli studenti.

 

L’università del futuro

Si potrebbe pensare ad un vergognoso
ritorno al passato, alla vecchia e polverosa università d’elite,
ad una chiusura definitiva dell’era dell’università di massa
aperta dal fantomatico ’68. Sicuramente ci sono degli elementi di
restaurazione, nel senso di un parziale ritorno a una maggiore
“selezione all’ingresso”. Ma ci troviamo di fronte soprattutto
a quella che i tecnocrati europei del Processo di Bologna e il
nostrano “Partito della Bocconi”3
vedono come l’università del futuro: basata sul decisivo apporto
di finanziamenti dai privati, sulla selezione in base al merito e non
sull’inclusione a dispetto del reddito, sull’efficienza del
mercato, sulla competizione invece che sulla cooperazione,
sull’adozione del (fallimentare) modello anglosassone,
sull’indebitamento dei singoli studenti invece che su un nuovo
sistema di welfare universitario di tipo universalista che allarghi
il vecchio concetto di diritto allo studio includendo alloggi, pasti,
trasporti, accesso a cultura, a mobilità internazionale, etc. Il
tutto senza intaccare quella pessima specificità tutta italiana del
baronato, anzi appoggiandosi e rafforzando quella struttura di potere
feudale che da decenni appesantisce l’università con il nepotismo
e la corruzione che la contraddistinguono.

Ma perché non ci troviamo
semplicemente di fronte ad un’edizione aggiornata dell’università
pre-68? L’università pre-68 aveva un carattere meramente di
selezione di classe, puntando ad ammettere al suo interno pochi
studenti che se lo potevano permettere (di solito i “figli di”) e
quindi produceva pochi laureati destinati ai pochi incarichi
dirigenziali necessari al funzionamento della società. L’università
post-68 di oggi riflette i cambiamenti avvenuti negli ultimi
quarant’anni nella società, ed è quindi relativamente più
democratica nel numero di studenti e di laureati, pur conservando
dinamiche di selezione: l’operaio avrà anche il figlio dottore, ma
l’ambiente sociale di provenienza di un individuo continua ad avere
ricadute sul suo titolo di studio. Ma cosa ha di nuovo l’università
del futuro? In sintesi, traduce in pratica un’esigenza del sistema
di produzione attuale, quello basato sulla conoscenza, che nel ’68
non si era ancora manifestato. Questa esigenza è una riduzione
dell’accesso alla conoscenza, di per sé bene comune e non rivale4,
principale fattore produttivo nei paesi a capitalismo avanzato. In
altre parole, si rende artificialmente scarso qualcosa che è
presente a livello capillare nella società e viene costantemente
accresciuto e arricchito dalla cooperazione sociale. Si tratta di
qualcosa che non è scarso per sua natura, ma anzi si fa più
abbondante con la condivisione, e che gli individui sono
spontaneamente portati a far circolare tra di loro. E in particolare,
si punta alla riduzione dell’accesso alla conoscenza
qualitativamente più alta, quella in grado essere flessibile e
creativa, cioè di creare sapere nuovo. Il risultato è quindi
un’ulteriore gerarchia – oltre a quella classica tra lavoratori
non qualificati e qualificati – all’interno della categoria dei
lavoratori dotati di formazione superiore: la gerarchia tra chi
dispone di conoscenza di scarsa qualità, rigida e a rischio di
invecchiare presto e servire a poco nella vita reale, e chi al
contrario possiede una buona conoscenza e gli strumenti per
utilizzarla al meglio.

 

Riduzione dell’accesso alla conoscenza

Innanzi tutto, come funziona la
selezione nel caso concreto dell’università del Bologna Process
e della premiata ditta Tremonti-Gelmini? In prima battuta, rendendo
difficile intraprendere un percorso di studio per chi non possiede
risorse sufficienti: la riforma permanente ci ha abituato ad aumenti
delle tasse, riduzione dei servizi e dei benefici indiretti, a cui
ora si somma la sostituzione del diritto allo studio con il fondo per
il merito e il “diritto al debito (d’onore)”. In secondo
ordine, con l’introduzione di tempistiche del tutto incompatibili
con il ritmo di vita dell* student* lavorator*: aumento dell’obbligo
di frequenza, proliferazione dei numero dei corsi, intensificazione
dei ritmi di studio, esami parziali, che qualunque studente del 3+2
conosce fin troppo bene.

 

Inclusione differenziale

Accanto a questo, si osserva una
dequalificazione dei contenuti dell’apprendimento (meno tempo di
lezione e di studio individuale e quindi meno qualità dei saperi).
La conseguenza di questa dequalificazione è il fatto che, per
accedere ad una formazione efficace e che metta al riparo dal lavoro
precario (cioè in grado di produrre effettivamente valore aggiunto),
sia necessario accedere agli strati più alti. Non è un caso –
infatti – se il Processo di Bologna organizza le università
europee su tre livelli, cioè primo, secondo grado5
e dottorato al vertice: solo l’ultimo livello garantisce un sapere
realmente autonomo, punto di partenza per creare innovazione, sapere
nuovo. Altro nucleo della peculiarità dell’università della
riforma permanente si basa sull’aumento del numero chiuso e su
filtri di vario tipo che danno come risultato un numero sempre minore
di accessi ai livelli via via successivi. Si tratta cioè di
inclusione differenziale, termine che illustra una doppia tendenza in
corso: da una parte si punta ad incoraggiare, tramite l’abbreviazione
della sua durata temporale, il completamento di almeno un primo ciclo
di formazione universitaria; dall’altra, con la creazione di
gradini formativi successivi, si crea contemporaneamente una
differenziazione del sistema universitario in due canali paralleli,
uno di massa (ritagliato sulle esigenze del mercato del lavoro, nello
specifico dei privati che entreranno nel Consiglio di Amministrazione
degli atenei) e l’altro d’eccellenza6.

Privatizzazione

Citando il ddl, art.15, comma 6:
“Dall’attuazione delle disposizioni della presente legge non
devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.
Ecco la cosa importante: la strategia del governo sull’università
consiste nell’imposizione di tagli e austerità, a investire ci
pensi qualcun altro. Ma chi? Saltiamo all’art. 2, che riguarda
“organi e articolazione delle università”. Questo articolo
attribuisce maggior peso decisionale al Consiglio di Amministrazione
(CdA), che deve essere composto da “personalità italiane o
straniere in possesso di comprovata competenza in campo gestionale e
di un’esperienza professionale di alto livello”. Il 40% del CdA
non deve ricoprire alcun incarico accademico, vale a dire che deve
essere scelto tra privati cittadini e chiaramente non verranno
chiamati a gestire un ateneo persone a caso. Aprire il Cda ai
privati, verosimilmente imprese, ha un nome preciso: privatizzazione!
Del resto le basi giuridiche erano già state gettate dalla legge
133/2008, che sanciva la possibilità di trasformare gli atenei in
fondazioni. In un simile panorama, si può immaginare che le aziende
godranno di una posizione di rendita ancor più vantaggiosa rispetto
al passato: non solo potranno sfruttare la manodopera precaria che
uscirà dagli atenei, ma potranno anche indirizzarne direttamente
l’attività formativa, modellandola sulle loro esigenze di mercato
di breve periodo. Il CdA, infatti, avrà un ruolo di indirizzo per
tutte le attività didattiche. Una conferma dell’impostazione
privatistica del ddl si può trovare nell’introduzione di una
figura nuova all’interno degli atenei: il Direttore Generale (art.2,
comma 2, parte i). Questi si sostituisce a quello amministrativo ed
accentra su di sé altre funzioni quali la gestione dei servizi, del
personale, delle risorse. Insomma, è un vero e proprio manager
dell’università.

La strategia governativa appare qui in
tutta la sua evidenza: il governo sceglie di disinvestire nel sistema
universitario, e per non farlo morire di stenti punta ad intercettare
i soldi delle imprese private. Ma sappiamo che la logica del profitto
non fa fare niente per niente: ecco quindi che si offre ai privati un
incentivo bello ghiotto, ossia di costruirsi su misura un proprio
centro di formazione superiore a seconda della convenienza e della
contingenza. L’esperienza della globalizzazione e dei mercati
finanziari, però, ci insegna una cosa: le decisioni di investimento
delle imprese sono sempre più volubili, i loro capitali sempre più
volatili, ovunque impera la logica del breve periodo: oggi investo
nel paese X che mi conviene, domani sposto i soldi nel paese Y perché
mi assicura un rendimento maggiore. E il paese X si trova con il culo
per terra, vedi l’Argentina nel 2001 o qualsiasi altro paese
toccato da una delle periodiche crisi a cui assistiamo da una
quindicina d’anni a questa parte. Facendo un parallelismo tra le
decisioni di investimento sui mercati internazionali e quelle sugli
atenei: un rischio che si prospetta è quindi quello della precarietà
della durata nel tempo del finanziamento dei privati, ossia la chiave
di volta del progetto del governo7.
Ma in questo modo non si creano più problemi di quanti non si
pretenda risolverne? Non è una manovra ideologica, basata sul mito
dell’efficienza del mercato e sull’imitazione del (fallimentare)
modello anglosassone? L’università si merita questo?

Come nota a margine va evidenziato come
il processo di privatizzazione proposto faccia chiaramente a pugni
con concetti quali partecipazione e democrazia. Ora, va detto che
l’attuale sistema di rappresentanza degli studenti sia un orpello
di scarsa utilità, dal momento che è inserito in organi
universitari caratterizzati da rapporti di forza estremamente
sbilanciati a sfavore di questa componente: nel CdA di oggi, ad
esempio, ci sono tre rappresentanti degli studenti e una trentina di
docenti. Il ddl riesce nell’impresa di peggiorare la situazione,
prevedendo un solo rappresentante in CdA (art.2, comma 2, parte g),
che come abbiamo visto, sarà l’organo principale di gestione ed
indirizzo. Magra consolazione è l’inserimento della componente
studentesca obbligatoria nelle commissioni di valutazione dei docenti
(art.2, comma 2, parte l), che già oggi non sembrano avere un
impatto effettivo sulla didattica universitaria.

Indebitamento e crisi

Un’altra questione cruciale ruota
intorno all’istituzione del Fondo per il merito (art.4, comma 1) e
all’introduzione del prestito d’onore (art.4, comma 1, parte b).
Dopo due decenni di riforma permanente nel segno di una progressiva e
costante erosione, sparisce del tutto il concetto di diritto allo
studio, sostituito da una sorta di “diritto al debito (d’onore)”
che trasforma gli studenti in indebitati cronici. Vincolare
l’erogazione delle borse di studio al “merito” invece che al
reddito non è altro che un’operazione mediatica ed ideologica,
dato che l’ambiente sociale di provenienza di un individuo
influisce tanto sui suoi meriti quanto sulla scelta di intraprendere
o meno un ciclo di studi universitari, che secondo la Costituzione
dovrebbero essere aperti anche agli studenti “meritevoli ma privi
di mezzi”. Ma soprattutto, indebitarsi per poter (continuare a)
studiare rappresenta una spada di Damocle pendente sulla testa dello
studente che, durante gli studi o una volta laureato, si vede
costretto a dover accettare condizioni di lavoro sfavorevoli per
pagare le rate del prestito. Quella dell’indebitamento è, dunque,
una doppia trappola perché conduce dritto nella spirale senza fine
del debito e della precarietà.

Anche in questo caso può essere utile
guardare all’esperienza della globalizzazione e dei mercati
finanziari per capire come l’ideologia dell’efficienza di mercato
del governo italiano venga da lontano. Il prestito d’onore per gli
studenti – infatti – non può che rimandarci mentalmente al
massiccio ricorso all’indebitamento privato da parte delle famiglie
americane. Il tipo di welfare state anglosassone (da alcuni anni
modello a cui tende la maggioranza dei paesi europei), appunto,
teorizza e pratica una fornitura di beni e servizi “residuale”,
cioè solo in favore di situazioni di forte disagio ed evidente
povertà8;
si permette così che una larga fetta di popolazione, non
necessariamente benestante, soddisfi i propri bisogni sul mercato
dell’offerta privata di servizi assistenziali, educativi, sanitari.
Un esempio chiave di questa dinamica è la mancanza di un piano di
edilizia sociale, che demanda al mercato e all’indebitamento privato
il soddisfacimento del diritto alla casa. La conseguenza è sotto gli
occhi di tutti: è stato proprio il mancato pagamento delle rate dei
mutui americani a innescare la crisi economica in cui ci troviamo.

E andando oltre, appare chiaro come
l’impianto dei prestiti d’onore non si discosti dalla solita
strategia di scaricare i costi della crisi e degli errori del sistema
verso il basso. Infatti, dato che lo stato si fa garante del prestito
(che può essere erogato con fondi di privati), se lo studente non
restituisce il privato non ha perdite perché lo stato copre le
spese. In altre parole, se il meccanismo non funziona i soldi delle
banche vengono comunque garantiti (i profitti vengono privatizzati),
mentre le perdite vengono socializzate. Esattamente quanto è
accaduto nella gestione della crisi, in cui i governi si affannavano
a salvare le big bank con piani miliardari, mentre la disoccupazione,
i licenziamenti, la cassa integrazione, gli sfratti dilagavano fra la
gente. Di fronte a questo sorgono spontanee alcune domande: fino a
che punto è sostenibile un impianto del genere? È lungimirante o
sintomo di miopia politica? Quanto può garantire uno stato prima di
dichiarare bancarotta? Per salvare uno stato dalla bancarotta è
ipotizzabile lo stesso livello di impegno politico-finanziario
utilizzato per il salvataggio delle grandi banche in crisi?

La resa dei conti

Di fronte allo scenario ancora
incompleto eppure già drammatico della legge 133, uno dei meriti
dell’Onda è stato sicuramente quello di rallentare il processo di
dismissione dell’università pubblica, imponendo un blocco
temporaneo alla riforma permanente in salsa berlusconiana, cioè
imposta fino a quel momento a colpi di decreti.

Ma non bisogna cadere in falsi
trionfalismi: è altrettanto sicuro che gli sforzi non sono stati
sufficienti, perché una volta calati i toni e i numeri delle
mobilitazioni e spenti i riflettori mediatici, è stato partorito
questo schifo di disegno di legge.

Quindi? I prossimi mesi saranno
probabilmente cruciali per la sua approvazione in parlamento.
L’impegno di chi crede senza opportunismi nel movimento andrebbe
innanzi tutto indirizzato all’informazione capillare nelle facoltà
e al tenere alta l’attenzione sul tema. Ma non basta. Senza
opposizione da parte del corpo vivo dell’università questa riforma
rischia di passare troppo facilmente, anche per colpa di una retorica
del merito (di stampo antipolitico e giustizialista, contro la
“casta” dei baroni) fin troppo presente nella cosiddetta
opposizione parlamentare. Né possiamo sperare che qualcun altro
fuori dal parlamento lo faccia per noi.

Di fronte al colpo di grazia occorre
reagire con una resa dei conti, determinata al punto giusto, e
rilanciare con la nostre idee per una nuova università. Abbiamo da
perdere solo un’università di merda in un paese che odia i
giovani.

***

Note:

1
Per una trattazione dei punti chiave del disegno
di legge del ministro Gelmini sull’università, cfr il dossier
scritto a novembre 2009 dal CUA e reperibile sul blog all’indirizzo
http://cuapavia.noblogs.org/gallery/5482/139726-dossier.pdf

2
Cfr l’omonimo documento del gruppo di studio di scienze politiche
scritto a novembre 2008 –
http://unipvvs133.googlegroups.com/web/GDS_UniPV_ScPolitiche.pdf.

3
Rappresentato per esempio dall’editorialista de
Il
Corriere della Sera
Giavazzi o
dall’economista bocconiano Perotti.

4
Un bene non rivale ha una caratteristica peculiare: la sua fruizione
da parte di un singolo non compromette la fruizione da parte di
tutti gli altri (un esempio: l’illuminazione stradale). In
generale i privati non trovano remunerativa l’offerta di tali
beni, che resta quindi competenza del pubblico perché i beni non
rivali apportano comunque benessere alla collettività.

5
In Italia i primi due livelli sono – ovviamente – laurea
triennale e specialistica.

6
Per una più ampia trattazione dell’inclusione differenziale, cfr
il documento del gruppo di studio di scienze politiche.

7
Per non parlare poi del tipo di formazione
impartita, che rischia di essere funzionale alle necessità delle
imprese presenti in CdA e non generale, qualitativamente alta,
flessibile e creativa.

8
Il modello opposto (diffuso nei paesi a
capitalismo avanzato prima dell’era neoliberista partita con
Thatcher e Reagan, e oggi parzialmente in vigore nei paesi
scandinavi) è il modello “universalista”, che impegna lo stato
a fornire servizi alla totalità della popolazione e che quindi
permette di non rivolgersi per forza al mercato.

Pubblicato in Lotta e progetti | Commenti disabilitati su il colpo di grazia e la resa dei conti

L’aumento delle tasse all’Università di Pavia

 

L’aumento delle tasse
all’Università di Pavia

Come rettore, baroni e gendarmi
scaricano sugli studenti crisi, tagli e riforme-pacco

Con la scusa della crisi, lo scorso
anno il governo ha approvato dei tagli ai finanziamenti alle
università per un totale di un miliardo e mezzo di euro. Al contempo
è stato imposto il blocco delle assunzioni. È stata rafforzata la
distinzione tra università di serie A (costose, del Nord) e
università di serie B (con pochi servizi, al Sud). Contro i tagli di
Tremonti e Gelmini studentesse e studenti hanno manifestato duramente
la loro opposizione. Quest’anno la Gelmini ci riprova. A breve sarà
votata in Parlamento una riforma che dà il via libera all’ingresso
dei privati negli organi decisionali dell’università. Questa
proposta è parte di un disegno di aziendalizzazione dell’università
iniziato nel 1999 con il “Processo di Bologna” e che coinvolge
tutti i paesi europei. Scatenando ovunque proteste. Lo scorso anno
rettori e baroni hanno speso molte parole contro i tagli. Solo
parole. Nei fatti, li hanno accettati, decidendo di scaricare verso
il basso, sugli studenti, i costi e i disservizi. Quest’anno hanno
sposato la nuova riforma della Gelmini e si apprestano ad accogliere
i privati nei consigli di amministrazione. Nel 2006 il rettore
Stella, appena eletto, fece confezionare una riforma delle tasse che
spillò agli studenti 4 milioni di euro in più. Così venne superato
il limite, stabilito per legge, al prelievo di risorse dagli
studenti, pari al 20% dei finanziamenti statali.

Non avendo contrastato il governo,
l’università di Pavia deve subire i tagli della Gelmini, considerati
dal management dell’ateneo pavese come fattore “esogeno”, che non
può essere messo in discussione. Si è aperto un buco di bilancio di
circa 9 milioni di euro. La manovra per arginare la voragine prevede
tagli pari a 6 milioni, che eliminano sostanzialmente il servizio di
tutorato e la didattica integrativa e danno un colpo ai fondi per la
ricerca e a quelli per l’Erasmus. Si sono inventati poi il modo per
estorcere i 3 milioni di euro mancanti con una complessa riforma del
sistema di tassazione [1], che si articola in quattro parti:

– la ridefinizione della curva della
contribuzione studentesca, che prevede il passaggio dalla distinzione
tra facoltà umanistiche e scientifiche a 4 gruppi di corsi di laurea
e la rimodulazione delle fasce reddituali ISEE in modo da aumentare
l’ammontare del prelievo dagli studenti;

– l’aumento delle indennità di mora
e dei contributi vari una tantum (ad esempio, il rilascio del diploma
di laurea passa da 45 a 90 €; o il trasferimento ad un’altra
università passa – scandalosamente – da zero a 300 €!);

– il ridimensionamento di alcuni
esoneri totali o parziali, dichiarati “non più sostenibili
nell’attuale situazione” (salvo mantenere gli esoneri “per
merito”, applicando supinamente la retorica governativa), che
prevedono ad esempio l’introduzione di tasse per dottorandi e per
gli specializzandi di medicina;

– infine viene introdotta un’imposta,
uguale per tutti, a prescindere dal reddito. Questi 125€ a testa
servirebbero per provvedere a una serie di servizi definiti “extra”,
non strettamente necessari per gli studenti: trasporto pubblico,
accesso serale alle biblioteche, accesso alla rete wireless, accesso
alle riviste ed al materiale didattico on line. Come se oggi, anno
2010, l’accesso wireless (o a riviste scientifiche) possa essere
considerato extra e non strettamente necessario.

La proposta di aumento della
contribuzione studentesca è stata approvata a tempo di record:
presentata, discussa e votata in meno di una settimana, come un
blitz, in piena sessione d’esami, cioè un periodo in cui attenzione
e aggregazione studentesche non permettono di mettere in campo forme
di mobilitazione di massa. Ciononostante, un centinaio di studentesse
e studenti hanno occupato la sala del CdA, per impedire l’aumento
delle tasse. Aumento che comunque è stato votato. Subito dopo
l’approvazione il rettore ha dichiarato: “il dialogo con gli
studenti non deve mai venire meno”. Peccato che lo abbia detto
immediatamente dopo averlo rotto, ammesso che ci sia mai stato,
chiamando la polizia in assetto antisommossa in università per
cacciare gli studenti dal rettorato. Si è trattato di un tentativo
di intimidazione oltre che una chiara operazione tesa a
criminalizzare gli studenti, che a Pavia devono solo stare zitti e
pagare. Se proprio il rettore vuole qualche forma di dialogo con gli
studenti, cominci ritirando gli aumenti delle tasse e riconoscendo il
diritto degli studenti ad esercitare le armi del dissenso e della
protesta, e ad essere considerati per quello che sono: coloro senza i
quali la sua accademia non vivrebbe un secondo di più.

Il potere del rettore, oggi, in ultima
istanza, sta tutto qui, nell’unilateralità delle scelte e nella loro
imposizione violenta. Ma parlare di potere dentro l’università vuol
dire parlare anche di altro. Quando diciamo “baroni” non
riprendiamo acriticamente un parolone che sta sulla bocca di tutti da
anni. Quando utilizziamo questa categoria parliamo di rapporti
sociali, di potere, dentro l’università. Un’istituzione millenaria,
ancora organizzata in stile ancien regime, per ceti separati.
In cima alla piramide gli ordinari, sotto di loro associati e
ricercatori, come ai tempi di nobiltà e clero. In fondo ci sono gli
studenti, la cui “rappresentanza” è demandata a livello formale
a delle specie di tribuni della plebe. Totalmente esclusi da ogni
decisione sono anche quei lavoratori, ricercatori precari e
dipendenti delle cooperative in appalto ad esempio, che incarnano
l’odierna manodopera schiavizzata. In CdA i docenti hanno
compattamente votato a favore degli aumenti delle tasse per gli
studenti. Occorre svelare l’ipocrisia di chi si mostra a parole
contro i tagli della Gelmini e poi li scarica verso il basso con gli
aumenti delle tasse.

Se l’anno scorso nelle strade di tutta
Italia riecheggiava il coro “noi la crisi non la paghiamo”, se i
tagli della Gelmini sono stati giustificati proprio dalla crisi, se
oggi a compensazione di questi tagli vengono innalzate le tasse,
allora non pagare la crisi, oggi, vuol dire non pagare le tasse. Se
sul piano logico questo ragionamento è scorrevole, la realizzazione
di un simile programma politico è più tortuosa. Ma per quanto di
difficile realizzazione, si impone la necessità di trovare le
formule concrete attraverso le quali evitare che siano studenti e
classi subalterne a dover pagare i costi della crisi. Gli aumenti
delle tasse scatteranno con il prossimo anno accademico, occorrerà farsi
trovare pronti. Tuttavia, la crisi morde, e quello di non pagare gli
aumenti delle tasse è solo uno dei piani su cui agire per
contrastare i tagli della Gelmini. Bisogna mettere in campo strumenti
concreti di riappropriazione di reddito indiretto. Riappropriarsi di
servizi, anzitutto. Contro i servizi a pagamento del rettore, quelli
che costano 125€ l’anno per tutti, nelle prossime settimane
metteremo a disposizione servizi gratuiti, valori d’uso, formulando
ipotesi concrete di welfare costruite dal basso.

Contro i tagli e le riforme della
Gelmini,contro gli aumenti delle tasse,contro la repressione del dissenso in
università

aperitivi informativi

martedì 2 marzo

martedì 9 marzo

h. 18,30 @ cortile di scienze politiche

***

[1] Per leggere il testo completo della
riforma della tassazione
http://cuapavia.noblogs.org/gallery/5482/proposta-contribuzione-studentesca-2010.doc

Pubblicato in Lotta e progetti | Commenti disabilitati su L’aumento delle tasse all’Università di Pavia

copyrata

 

COPYRATA

Pirati della conoscenza all’arrembaggio dell’università azienda
Un progetto di welfare dal basso per la condivisione dei saperi
Servizi per gli studenti autogestiti dagli studenti

università

Negli ultimi anni numerose riforme hanno radicalmente modificato il sistema universitario europeo. L’anno scorso la coppia Gelmini-Tremonti ha imposto con le leggi 133 e 180 pesanti tagli ai finanziamenti statali alle università. I bilanci degli atenei già da quest’anno accademico hanno iniziato a subire una cura dimagrante, che sarà ancora più drastica negli anni futuri. Inutile dirlo, verranno colpiti per primi i servizi agli studenti. La Gelmini ha da poco preparato una riforma della governance dell’università, che prevede l’ingresso dei privati nella gestione degli atenei.

Per opporsi con successo alla distruzione dell’università e costruire noi stessi l’università che vogliamo occorre partire da alcune constatazioni:
_non ha senso salvare l’università baronale così com’è oggi
_il tradizionale concetto di “diritto allo studio” è inservibile e va riformulato
_la contrapposizione tra sfera pubblica e sfera privata va superata
_la mobilitazione studentesca deve passare dalle dichiarazioni di principio alla concretizzazione dei suoi programmi

***

welfare

La costruzione di forme di welfare da parte dello stato risponde a precise necessità dei governi: storicamente, esso è stato impiegato come strumento di “recupero” di fronte alla crescente organizzazione e forza politica delle classi subalterne. Una volta frammentatesi queste ultime, il controllo e la violenza si sono sostituite alla ricerca di consenso.

Non ci si può aspettare che i servizi vengano elargiti dall’alto dallo stato: reclamarli è necessario, ma non è abbastanza. I bisogni sociali sono stati demandati alla sfera privata: il sostegno al consumo di massa oggi passa attraverso l’indebitamento. La tendenza è quella a escludere ampie fette di popolazione dall’accesso a servizi e reddito.

Una differente concezione del welfare ci apre però oggi nuove porte. Strutture di mutuo soccorso possono essere costruite dalla cooperazione dei soggetti sociali per soddisfare collettivamente i loro bisogni. Un sistema di welfare dal basso può innescare un circolo virtuoso tra processi di autorganizzazione e solidarietà.

***

copyright

Il diritto d’autore nasce al momento della creazione di un’opera garantendo all’autore delle facoltà esclusive. L’applicazione di queste norme ostacola la creazione di nuove opere e la diffusione di quelle già esistenti. Se il progresso culturale non è mai dovuto ad una nuova soluzione assolutamente innovativa, ma ad una nuova componente che si aggiunge ad una soluzione già esistente, allora le leggi che privatizzano i saperi limitano e disturbano il suo naturale ciclo produttivo, imbrigliando e impoverendo la creatività. Inoltre, precise lobby economiche, grazie a questo sistema di gestione delle idee, vedono aumentare di anno in anno i loro profitti e la loro egemonia culturale.

La ricerca e la didattica sono ambiti in cui la produzione dovrebbe allontanarsi il più possibile da un fine commerciale. Soprattutto quando queste attività si svolgono presso strutture finanziate con risorse pubbliche. L’università, quindi, non deve solo essere luogo di produzione di saperi, ma deve anche garantirne la libera distribuzione.

***

una proposta concreta

Vogliamo aprire un copypoint autogestito dove permettere a studentesse e studenti di scambiarsi appunti, materiali didattici, informativi e culturali a prezzo di costo, sia in cartaceo che in formato file.

Vogliamo permettere ai saperi di circolare liberamente.

Vogliamo costruire forme autonome di welfare dal basso.
 

Pubblicato in Lotta e progetti | Commenti disabilitati su copyrata

il documento del CdA in tema di tassazione

proposta-contribuzione-studentesca-2010.doc

Pubblicato in Incontri e assemblee | Commenti disabilitati su il documento del CdA in tema di tassazione