L’aumento delle tasse
all’Università di Pavia
Come rettore, baroni e gendarmi
scaricano sugli studenti crisi, tagli e riforme-pacco
Con la scusa della crisi, lo scorso
anno il governo ha approvato dei tagli ai finanziamenti alle
università per un totale di un miliardo e mezzo di euro. Al contempo
è stato imposto il blocco delle assunzioni. È stata rafforzata la
distinzione tra università di serie A (costose, del Nord) e
università di serie B (con pochi servizi, al Sud). Contro i tagli di
Tremonti e Gelmini studentesse e studenti hanno manifestato duramente
la loro opposizione. Quest’anno la Gelmini ci riprova. A breve sarà
votata in Parlamento una riforma che dà il via libera all’ingresso
dei privati negli organi decisionali dell’università. Questa
proposta è parte di un disegno di aziendalizzazione dell’università
iniziato nel 1999 con il “Processo di Bologna” e che coinvolge
tutti i paesi europei. Scatenando ovunque proteste. Lo scorso anno
rettori e baroni hanno speso molte parole contro i tagli. Solo
parole. Nei fatti, li hanno accettati, decidendo di scaricare verso
il basso, sugli studenti, i costi e i disservizi. Quest’anno hanno
sposato la nuova riforma della Gelmini e si apprestano ad accogliere
i privati nei consigli di amministrazione. Nel 2006 il rettore
Stella, appena eletto, fece confezionare una riforma delle tasse che
spillò agli studenti 4 milioni di euro in più. Così venne superato
il limite, stabilito per legge, al prelievo di risorse dagli
studenti, pari al 20% dei finanziamenti statali.
Non avendo contrastato il governo,
l’università di Pavia deve subire i tagli della Gelmini, considerati
dal management dell’ateneo pavese come fattore “esogeno”, che non
può essere messo in discussione. Si è aperto un buco di bilancio di
circa 9 milioni di euro. La manovra per arginare la voragine prevede
tagli pari a 6 milioni, che eliminano sostanzialmente il servizio di
tutorato e la didattica integrativa e danno un colpo ai fondi per la
ricerca e a quelli per l’Erasmus. Si sono inventati poi il modo per
estorcere i 3 milioni di euro mancanti con una complessa riforma del
sistema di tassazione [1], che si articola in quattro parti:
– la ridefinizione della curva della
contribuzione studentesca, che prevede il passaggio dalla distinzione
tra facoltà umanistiche e scientifiche a 4 gruppi di corsi di laurea
e la rimodulazione delle fasce reddituali ISEE in modo da aumentare
l’ammontare del prelievo dagli studenti;
– l’aumento delle indennità di mora
e dei contributi vari una tantum (ad esempio, il rilascio del diploma
di laurea passa da 45 a 90 €; o il trasferimento ad un’altra
università passa – scandalosamente – da zero a 300 €!);
– il ridimensionamento di alcuni
esoneri totali o parziali, dichiarati “non più sostenibili
nell’attuale situazione” (salvo mantenere gli esoneri “per
merito”, applicando supinamente la retorica governativa), che
prevedono ad esempio l’introduzione di tasse per dottorandi e per
gli specializzandi di medicina;
– infine viene introdotta un’imposta,
uguale per tutti, a prescindere dal reddito. Questi 125€ a testa
servirebbero per provvedere a una serie di servizi definiti “extra”,
non strettamente necessari per gli studenti: trasporto pubblico,
accesso serale alle biblioteche, accesso alla rete wireless, accesso
alle riviste ed al materiale didattico on line. Come se oggi, anno
2010, l’accesso wireless (o a riviste scientifiche) possa essere
considerato extra e non strettamente necessario.
La proposta di aumento della
contribuzione studentesca è stata approvata a tempo di record:
presentata, discussa e votata in meno di una settimana, come un
blitz, in piena sessione d’esami, cioè un periodo in cui attenzione
e aggregazione studentesche non permettono di mettere in campo forme
di mobilitazione di massa. Ciononostante, un centinaio di studentesse
e studenti hanno occupato la sala del CdA, per impedire l’aumento
delle tasse. Aumento che comunque è stato votato. Subito dopo
l’approvazione il rettore ha dichiarato: “il dialogo con gli
studenti non deve mai venire meno”. Peccato che lo abbia detto
immediatamente dopo averlo rotto, ammesso che ci sia mai stato,
chiamando la polizia in assetto antisommossa in università per
cacciare gli studenti dal rettorato. Si è trattato di un tentativo
di intimidazione oltre che una chiara operazione tesa a
criminalizzare gli studenti, che a Pavia devono solo stare zitti e
pagare. Se proprio il rettore vuole qualche forma di dialogo con gli
studenti, cominci ritirando gli aumenti delle tasse e riconoscendo il
diritto degli studenti ad esercitare le armi del dissenso e della
protesta, e ad essere considerati per quello che sono: coloro senza i
quali la sua accademia non vivrebbe un secondo di più.
Il potere del rettore, oggi, in ultima
istanza, sta tutto qui, nell’unilateralità delle scelte e nella loro
imposizione violenta. Ma parlare di potere dentro l’università vuol
dire parlare anche di altro. Quando diciamo “baroni” non
riprendiamo acriticamente un parolone che sta sulla bocca di tutti da
anni. Quando utilizziamo questa categoria parliamo di rapporti
sociali, di potere, dentro l’università. Un’istituzione millenaria,
ancora organizzata in stile ancien regime, per ceti separati.
In cima alla piramide gli ordinari, sotto di loro associati e
ricercatori, come ai tempi di nobiltà e clero. In fondo ci sono gli
studenti, la cui “rappresentanza” è demandata a livello formale
a delle specie di tribuni della plebe. Totalmente esclusi da ogni
decisione sono anche quei lavoratori, ricercatori precari e
dipendenti delle cooperative in appalto ad esempio, che incarnano
l’odierna manodopera schiavizzata. In CdA i docenti hanno
compattamente votato a favore degli aumenti delle tasse per gli
studenti. Occorre svelare l’ipocrisia di chi si mostra a parole
contro i tagli della Gelmini e poi li scarica verso il basso con gli
aumenti delle tasse.
Se l’anno scorso nelle strade di tutta
Italia riecheggiava il coro “noi la crisi non la paghiamo”, se i
tagli della Gelmini sono stati giustificati proprio dalla crisi, se
oggi a compensazione di questi tagli vengono innalzate le tasse,
allora non pagare la crisi, oggi, vuol dire non pagare le tasse. Se
sul piano logico questo ragionamento è scorrevole, la realizzazione
di un simile programma politico è più tortuosa. Ma per quanto di
difficile realizzazione, si impone la necessità di trovare le
formule concrete attraverso le quali evitare che siano studenti e
classi subalterne a dover pagare i costi della crisi. Gli aumenti
delle tasse scatteranno con il prossimo anno accademico, occorrerà farsi
trovare pronti. Tuttavia, la crisi morde, e quello di non pagare gli
aumenti delle tasse è solo uno dei piani su cui agire per
contrastare i tagli della Gelmini. Bisogna mettere in campo strumenti
concreti di riappropriazione di reddito indiretto. Riappropriarsi di
servizi, anzitutto. Contro i servizi a pagamento del rettore, quelli
che costano 125€ l’anno per tutti, nelle prossime settimane
metteremo a disposizione servizi gratuiti, valori d’uso, formulando
ipotesi concrete di welfare costruite dal basso.
Contro i tagli e le riforme della
Gelmini,contro gli aumenti delle tasse,contro la repressione del dissenso in
università
aperitivi informativi
martedì 2 marzo
martedì 9 marzo
h. 18,30 @ cortile di scienze politiche
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[1] Per leggere il testo completo della
riforma della tassazione
http://cuapavia.noblogs.org/gallery/5482/proposta-contribuzione-studentesca-2010.doc