Ricerca

Il rapporto tra produttività scientifica e finanziamento alla formazione e alla ricerca in Italia è uno dei più elevati d’Europa. Ciò significa che, a parità di investimenti, i ricercatori del nostro paese producono sapere scientifico in quantità e qualità maggiori. La conseguenza logica di questa affermazione è che, un paese con delle potenzialità così elevate, dovrebbe investire ancora più degli altri in ricerca e istruzione, soprattutto in un momento di crisi come questo.

Con l’arrivo della Gelmini sullo scranno del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, invece, i tagli ai finanziamenti sono stati ingenti, mettendo a rischio, fra le molte altre cose, la prosecuzione dell’attività di ricerca in Italia. E’ inquietante anche l’ingresso dei privati all’interno del Consiglio di Amministrazione degli Atenei, in una quota elevatissima: il 40 %. L’articolo 2, comma 2, lettera d del ddl recita: “La competenza a formulare proposte e pareri in materia di didattica e di ricerca e ad approvare regolamenti in materia di didattica e di ricerca spetta, previo parere favorevole del CdA, al Senato Accademico” (all’interno del quale, è importante sottolinearlo, la rappresentanza studentesca è stata ridotta all’osso). In quale modo viene quindi riconosciuta l’importanza e la centralità all’interno degli atenei della ricerca di base? Come può essere libera ed indipendente la ricerca dal momento in cui le linee guida vengono dettate da privati che hanno i loro interessi economici?

Anche prima delle riforme Gelmini susseguitesi negli ultimi due anni, la situazione non era comunque idilliaca: l’Università versava, e versa tutt’ora, in un clima che si potrebbe definire feudale. Terminato il percorso di studi, un giovane che desidera proseguire la sua carriera all’interno dell’Università è dapprima costretto ad una lotta per potersi accaparrare uno dei pochi posti rimasti per un dottorato con borsa di studio, l’unica sovvenzione che gli possa permettere di proseguire il suo percorso. Superato questo primo ostacolo molti rimangono poi intrappolati in un rapporto che si può definire, rifacendosi all’analogia di prima, di vassallaggio nei confronti di professori ordinari: la cosiddetta gavetta pare essere un percorso infinito, durante il quale la possibilità di esprimere la propria creatività e le proprie capacità sono totalmente a discrezione del barone di riferimento. Se poi il desiderio è quello di progredire nella carriera accademica, con il blocco del turn-over, la probabilità di riuscirci (probabilmente non prima di un’età notevolmente avanzata, basti osservare che il 25% dei professori ordinari nelle università italiane ha più di 60 anni), diminuisce drasticamente. Il governo, cercando di dividere il fronte mobilitato dei ricercatori ha annunciato l’arrivo di 9000 concorsi per l’assunzione dei ricercatori precari. Sono normalissimi concorsi, non promozioni indiscriminate, ed anche in un numero piuttosto limitato, poiché, vista la vetustà dei nostri professori, i pensionamenti saranno molti di più delle assunzioni. In ogni caso, il giorno dopo è arrivata la smentita: no, non ci sono i soldi per farlo.

Sono due anni che il governo agisce in questa maniera: rinviando, cercando di dare un contentino qua e là, cercando di spaccare i movimenti di protesta che ormai ribollono anche in categorie diverse da quella studentesca. Credo sia arrivato il momento di rispedire al mittente queste ridicole proposte che fingono di venire in contro ai problemi sollevati dai vari movimenti creatisi in questi ultimi anni. Credo sia arrivato il momento di rivendicare un’università che fornisca gli strumenti critici ai propri studenti con l’obiettivo dell’emancipazione individuale e sociale: questa è un’Università efficiente e di buona qualità. Questa è l’Università che voglio io, e che penso vogliano molti altri studenti come me: non sono interessata ad essere preparata ad obbedire ed eseguire i compiti che mi verranno affidati da un datore di lavoro in cerca di profitti, o da un barone che ha messo radici sulla sua poltrona. Chiediamo solo di avere il nostro futuro nelle nostre mani, è per questo che siamo decisi a lottare per riprendercelo.

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