Baroni, il medioevo deve finire!

Il 22 dicembre è stata approvata dal Senato la legge Gelmini di riforma dell’Università. Essa prevede, in un contesto di tagli indiscriminati ai finanziamenti: la trasformazione delle borse di studio in debiti, l’accorpamento di dipartimenti e facoltà, la variazione della composizione degli organi di governo degli atenei con lo spostamento di competenze in merito alla didattica dal Senato accademico al CdA, che sarà composto almeno per il 40% da esterni, nominati e non eletti.

Materialmente, ogni ateneo incarica un’apposita commissione di modificare lo statuto dell’università. Questa commissione applica i principi contenuti nella riforma, lavorando sui vuoti e i silenzi lasciati dalla legge Gelmini. Le lacune verranno progressivamente colmate da decreti attuativi, interpretazioni ministeriali e regolamenti. Non esiste un’applicazione positiva della riforma. La responsabilità della commissione consisterebbe quindi nel limitarne i danni. Le scelte prese cambieranno radicalmente le università per come le conosciamo oggi.

In base a quali criteri sono selezionati i quindici membri di questa commissione? Nello specifico pavese, ogni facoltà ha presentato una rosa di possibili componenti, tra cui il rettore ha selezionato i “prescelti”. Una seduta congiunta di senato accademico e CdA ha ratificato le nomine. Ne risulta la seguente composizione: 7 baroni (6 docenti ordinari e il rettore), 2 docenti di seconda fascia, 1 rappresentante del personale tecnico amministrativo, 2 studenti e 3 ricercatori. La proporzionalità nella composizione della commissione non rispecchia quella delle componenti dell’ateneo. Sono assenti dottorandi, precari della ricerca, dipendenti delle cooperative, specializzandi; 300 ordinari esprimono 7 rappresentanti, tra i 27000 studenti solo 2 siedono in commissione. Le delibere della commissione sono ulteriormente vincolate da un “comitato tecnico di redazione” che costringerà gli indirizzi, le scelte e le decisioni prese dai 15 al rispetto dei principi classisti della riforma.

Non sono previsti momenti di confronto sui temi che verranno trattati, l’iter con cui il nuovo statuto verrà licenziato non è stato reso noto: c’è un palese deficit di trasparenza. Riteniamo che un processo così importante come la riscrittura dello statuto debba essere pubblico e le sedute aperte alla partecipazione di tutte le componenti dell’ateneo. Se ben quattro conferenze di ateneo sono state organizzate per discutere l’iter legislativo riguardante la riforma, perché non organizzarne altre sul suo recepimento all’interno dello statuto? L’assenza di democrazia che contraddistingue questo processo di riscrittura dovrà essere compensata. L’unica condizione affinché ciò avvenga è l’indizione di un referendum tra tutte le componenti dell’università, secondo il principio “una testa, un voto”.

Queste minime richieste devono essere soddisfatte.

La riscrittura dello statuto con la pistola della Gelmini puntata alla tempia non è un momento costituente. Il vero momento costituente sono gli “STATI GENERALI DEL CORPO VIVO DELL’UNIVERSITA’” che saranno convocati a breve.

Student* in crisi

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