Cos’è l’università italiana oggi? È il frutto di vent’anni di riforme, portate avanti sia da governi di centrodestra che di centrosinistra, nel quadro del progetto di omogeneizzazione dei sistemi universitari europei (Processo di Bologna). È ancora un’organizzazione di stampo feudale, preda degli interessi dei privati, in cui la qualità del sapere trasmesso è sempre più deteriorata. Il colpo di grazia arriva oggi, con il DDL Gelmini: con l’abolizione di fatto del diritto allo studio, con la mortificazione della ricerca, con un cammino che vediamo già tracciato e che porta verso la privatizzazione. E ancora, con la riduzione dei già angusti spazi di democrazia negli atenei, con l’accentramento del potere nelle mani dei rettori, con la trasformazione dell’università in una scuola di formazione per precari sottopagati al servizio delle imprese.
Per fortuna ci sono i ricercatori indisponibili, che hanno deciso di opporsi a un progetto di riforma che colpisce duramente la loro categoria e la ricerca. Per fortuna ci sono i ricercatori, che usano le armi che hanno a disposizione, cioè l’indisponibilità a fare lezione: in teoria non sarebbe compito loro, in realtà lo fanno, e gratis, costretti dai vincoli di subordinazione al barone di turno. Come studenti contro il DDL, siamo solidali con la protesta dei ricercatori, ma crediamo che questa non debba essere una lotta corporativa. È infatti necessario costruire cooperazione con gli altri soggetti colpiti dai tagli e dallo sgretolamento dell’università pubblica. Occorre cioè un percorso di ricomposizione del corpo vivo dell’università: precari, dottorandi, studenti, personale tecnico-amministrativo, ricercatori. Non vogliamo una lotta corporativa perché sarebbe perdente. È necessario intrecciare i percorsi: quello per la libertà di ricerca (inclusa libertà dalla precarietà e dallo schiavismo baronale); quello contro il nozionismo imperante, per una didattica che formi pensiero critico; quello del personale amministrativo contro la delirante e pretestuosa “meritocrazia” di Brunetta; quello per la costruzione di un welfare autonomo dal basso, che parta da servizi autogestiti da e per gli studenti.
Indisponibilità è la parola chiave. Non sarà qualche emendamento a rendere accettabile il progetto di smantellamento dell’università pubblica voluto dal “partito della riforma”: Confindustria, Sole 24 ore, Corriere della Sera, CRUI. Non ci fidiamo di rettori e baroni, perché la riforma dà loro più poteri e per questo la vogliono. Semmai potrebbero essere interessati a cavalcare la protesta dei ricercatori per ottenere qualche spicciolo in più, per cercare di tenere in vita il corpo moribondo dell’università. Chissà per quanto tempo, poi. Quindi, una cosa deve essere ben chiara: questa riforma non si emenda, si blocca!
Data la gravità della situazione in cui ci troviamo è necessario creare un movimento di massa, alzare la voce, senza timore di alzarla troppo. Abbiamo infatti il chiaro esempio dei ricercatori indisponibili: bloccare le lezioni per smuove le coscienze. In questa situazione nulla è normale. L’indisponibilità alla didattica impone un blocco alla presunta normalità dell’università. Questo blocco va esteso e generalizzato, anche attraverso forme di pressione studentesca, fino al ritiro del DDL. Per liberare il futuro occorre fermare il presente. Occorre determinazione. Più di quanta messa in campo due anni fa contro i tagli della Legge 133. Rispetto ad allora, infatti, abbiamo due punti cruciali a nostro favore: da una parte, non ci troviamo di fronte ad una legge già approvata, ma ad un decreto ancora in discussione; dall’altra, la controparte governativa non è più monoliticamente compatta, ma mostra evidenti contraddizioni interne, se non segnali di aperta crisi. Abbiamo cioè maggiori probabilità di successo. Ma soprattutto oggi, con i ricercatori indisponibili, il fronte della mobilitazione è finalmente più ampio.
Fronte che va allargato ancora. Come in Francia, dove le mobilitazioni di un’estesa coalizione sociale – che va dai camionisti ai liceali – sta bloccando un intero paese, a partire dalla necessità vitale della circolazione dei carburanti. Fortunatamente, anche in Italia si sta cominciando a costruire una coalizione sociale a partire dalla manifestazione “Uniti contro la crisi” del 16 ottobre scorso a Roma. Una coalizione sociale che parla di difesa dell’università e del sapere, di opposizione alla precarietà e salvaguardia dei beni comuni, di rifiuto delle misure di austerità dei governi europei e dei ricatti delle organizzazioni degli imprenditori.
In moltissime università italiane in mobilitazione, comunque, è l’indisponibilità totale che sta pagando. Se la discussione in parlamento del DDL è stata rallentata, è una vittoria dei ricercatori indisponibili. E di nuovo, guardiamo alla Francia per avere l’esempio di cosa significhi essere indisponibili: manifestazioni spontanee, blocchi stradali, blocchi dei depositi di carburante, sciopero generale e continuo.
Lanciamo, quindi, un appello a ricercatori all’indisponibilità totale, ma anche al resto del corpo docente sensibile alla protesta, affinché durante l’iter di discussione del DDL blocchino ogni attività didattica, per incoraggiare la partecipazione degli studenti alle iniziative di mobilitazione che verranno di volta in volta proposte. E li invitiamo – qualora non l’avessero già fatto – ad unirsi alla protesta.
È tempo di esercitare forme di pressione forti e determinate sugli organi di amministrazione di questa università, sul rettore, e più a monte, sulla CRUI, fino al ministero dell’università. È tempo di prendere una posizione chiara. È tempo di affermare ancora una volta la nostra indisponibilità ad accettare il DDL Gelmini.
Indisponibilità totale
Blocco della didattica
Blocco del DDL
No alla precarietà
No al baronato
Noi la crisi non la paghiamo
Blocchiamo il presente per riprenderci il futuro