Rifiutiamo la metafora che vede l’Università come un esercito accerchiato, nel quale i generali ed i comandanti, scoraggiati, non hanno più lo spirito combattivo per difenderla mentre sarebbero i soldati semplici a desiderare ardentemente di poterlo fare ed a credere nella possibilità della vittoria. Ebbene la rifiutiamo perché rifiutiamo l’autorità di questi presunti generali e comandanti ed il nostro ruolo di soldati. La rifiutiamo perché non siamo disposti a combattere nessuna battaglia in difesa dell’esistente, quello che vogliamo ce lo dobbiamo ancora prendere.
Nel ddl Gelmini le agevolazioni e i contributi agli studenti non sono affrontati come norme di diritto allo studio, ma sotto il capitolo dedicato alla qualità ed efficienza del sistema universitario. Il disegno di legge “si colloca in una prospettiva che va al di là del mero diritto allo studio universitario, intendendo premiare coloro che eccellono negli studi, a livello nazionale, a prescindere dalla loro condizione economica”. A questo fine si istituisce il “fondo per il merito” (articolo 4), destinato a finanziare premi di studio, buoni studio (di cui una quota dipendente dai risultati accademici conseguiti deve essere restituita al termine degli studi) e prestiti d’onore. A questi strumenti si accede mediante selezione nell’ambito di prove nazionali standard, a pagamento.
La riforma cancella di fatto il diritto allo studio. In luogo di una redistribuzione verso gli studenti in condizioni economiche più difficili, il nuovo “fondo per il merito” redistribuisce risorse a favore dei più “bravi”, anche se ricchi. Parlare ancora dello studio come di un diritto è dunque assolutamente inappropriato nel nuovo sistema normativo. I richiami alla Costituzione possono avere in questo contesto carattere esclusivamente difensivo. L’articolo 34 afferma infatti che “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Secondo i principi fondamentali della Repubblica, lo studio non è dunque un diritto universale, ma un diritto riservato ai capaci e meritevoli. L’articolo prosegue poi affermando che “La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. Il diritto allo studio è dunque inteso come competizione tra meritevoli, introducendo dunque la concorrenza tra compagni di percorso sin dalla condizione studentesca. Ma il problema più grande è che il concetto stesso di merito, enunciato in termini astratti, si scontra con i rapporti economici concreti prevalenti nel capitalismo, che impediscono di prescindere dalle condizioni economiche nel valutare chi effettivamente è più meritevole. Non si tiene per esempio conto, nella realizzazione della prova selettiva, del contesto socio-culturale o del percorso scolastico da cui il candidato proviene. È evidente che un contesto economico vantaggioso offre un numero di strumenti sia culturali che meramente economici diverso a seconda che si provenga da diversi starti sociali. La disponibilità di libri e strumenti a disposizione del figlio di un professore non sono gli stessi di cui dispone il figlio di un manovale.
Si vuole far notare inoltre come il processo di demandare il diritto al consumo ed il consumo al debito che si sta ora mettendo in atto con il diritto allo studio sia stato messo in atto precedentemente sul diritto alla casa. Proprio la crisi del debito dei mutui è ciò che ha innescato la crisi economica nella quale ci troviamo oggi immersi e che serve per giustificare le politiche di austerità e taglio che portano alle manovre di cui sopra. In sostanza un circolo vizioso che come strumento di risoluzione della crisi economica sa solo porre le basi per la successiva.
L’attuale riforma si inserisce nell’ambiguità normativa della costituzione, eliminando anche i parametri economici intesi a coniugare bisogno economico e merito, distribuendo le risorse solo in nome del merito. La Gelmini la chiama meritocrazia, ma il suo nome è selezione di classe. Il fatto poi che le prove nazionali siano a pagamento disincentiva la stessa partecipazione alle prove selettive da parte degli studenti privi di mezzi, determinando un sistema redistributivo al contrario: dai poveri ai ricchi. I contenuti delle prove per l’ottenimento dei contributi costituiranno infine un altro strumento di controllo centralizzato del pensiero scientifico come condizione per accedere al diritto allo studio, secondo test nazionali volti a uniformare e standardizzare le conoscenze secondo quanto ritenuto utile dal mondo politico-imprenditoriale.
Se la meritocrazia è la parola d’ordine nella cancellazione del diritto allo studio, qualità ed efficienza sono i nuovi valori per imporre la logica imprenditoriale alla politica universitaria. Che non si tratti di valori assoluti è evidente: uno stesso strumento può essere efficiente e di buona qualità se valutato rispetto a determinati obiettivi e inefficiente e di bassa qualità se valutato rispetto ad obiettivi diversi. Un’università che fornisce gli strumenti critici ai propri studenti può essere considerata efficiente e di buona qualità se valutata rispetto agli obiettivi dell’emancipazione individuale e sociale, mentre appare senz’altro inefficiente e di bassa qualità se l’obiettivo è quello di formare studenti pronti ad obbedire ed eseguire i compiti che verranno loro affidati da un datore di lavoro in cerca di profitti. In un contesto ideologico e culturale egemonizzato dal mercato e dalla cultura d’impresa, non è difficile capire quali siano gli obiettivi sottintesi da Tremonti, Brunetta e Gelmini quando parlano di qualità ed efficienza: indirizzare la ricerca scientifica e l’offerta formativa verso traiettorie utili, direttamente o indirettamente, ai profitti delle imprese. E se individui o università vogliono fare di testa loro, si tagliano loro i viveri.
Per tutte queste ragioni il ddl non può essere né emendato né migliorato. Il ddl deve essere cancellato. E chiunque abbia a cuore il sapere, la conoscenza e la libertà che da essa discendono ha il dovere di opporsi a questa riforma con ogni strumento possibile e con ogni mezzo necessario.